280

6 Marzo 2011
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Piove. Salgo sull’autobus, il 280, dopo averlo atteso almeno 25 minuti. E’ piuttosto affollato, come prevedibile. Chiudo l’ombrello, uno di quelli piccoli, da borsa.
La signora seduta davanti a me mi guarda, e temo di averle fatto gocciolare un po’ d’acqua addosso durante la manovra di chiusura dell’ombrello. Sono già pronta a scusarmi quando la sento dire “E che lo chiude a fare?”.
“Come scusi?”
“Che lo chiude a fare, tanto ora che scende deve riaprirlo…”
“Ah, ma io scendo fra un po’… e a giudicare dal traffico fra un bel po’”
“Io quelli non li uso più… gli ombrellini” e indica il mio. “Una volta ero in un museo, e fuori c’era stata una specie di tempesta, ma io non m’ero accorta di nulla, ero nel museo!… e quando sono uscita, per strada vedo un mare di questi ombrellini, tutti rotti, tutti lasciati per strada… guardi, non si poteva camminare per quanti ce n’erano! E da allora ho deciso di non usarli più, non servono a niente, si rompono subito e non riparano. Ero in montagna quella volta, e mi sono comprata uno di questi ombrelli da pecoraio, questi sì che riparano!” e indica il suo, un ombrello non pieghevole.
Non ho mai visto un pecoraio con l’ombrello, ma l’immagine mi piace, pastore, pecore, ombrelli. Mi immagino il pastore con un ombrello grande, e ciascuna pecora con un proprio ombrello. Ombrelli colorati, e pecore felici, con galosce rosse alle zampe, che saltellano fra le pozzanghere cantando ‘i’m singing in the rain’. Bello.
“Piove sempre eh!” dice ancora la signora. “Ma non ci possiamo lamentare del clima, qui a Roma… giusto queste giornate così, un po’ umide… perché non è che faccia proprio freddo, è l’umido che ci frega. E poi il traffico… eh, io la macchina non la prendo mai, non mi piace, ci si muove meglio con i mezzi. Sono così comodi… Ma tanta gente non prende i mezzi nemmeno se l’ammazzi… l’altro giorno siamo andate al cinema, io e due amiche, e una di loro ha insistito per andare in macchina, quando l’autobus ci avrebbe lasciato proprio davanti al cinema. Beh, abbiamo cercato un parcheggio per mezz’ora, gira e gira e gira, mica l’abbiamo trovato! Abbiamo dovuto lasciare la macchina lontanissimo dal cinema, in un garage, e alla fine abbiamo speso più di garage che di cinema. Più di garage che di cinema!!” ripete con enfasi. “E di cinema – continua – io pago poco perché il pomeriggio c’è lo sconto per quelli che hanno più di 65 anni… io ne ho più di 70, pensi un po’!”.
Immagino che da me si aspetti, ora, la consueta frase che sempre suole seguire una dichiarazione di età più o meno avanzata, “come se li porta bene” o “proprio non li dimostra”, ma io non dico nulla, non perché dimostri tutti i suoi anni, al contrario, ma queste frasi sono talmente scontate, talmente banali, che non mi viene di dirla. Dovrei recitare il mio ruolo, adottare un tono adeguatamente stupito, ma semplicemente non mi viene di farlo, così sto zitta e sorrido. Forse mi ricordo, anche, di tutte le volte che quando avevo trent’anni uscivo con mia madre, di sessanta, e le sue amiche o conoscenti recitavano la frase di rito, “sembrate sorelle!”, e io mi divertivo a rispondere “davvero? Vuol dire che io dimostro sessant’anni??”, e silenziosamente me la ridevo dell’imbarazzo che generavo.
“Quasi quasi lo chiudo anche io l’ombrello, magari è di buon augurio”. Il cielo si apre ed esce un bel sole luminoso. “Ha visto? C’è il sole!” dico allegra, “ha fatto bene ad essere ottimista”.
“E’ bella Roma, col sole. Anche con la pioggia. E’ bella sempre”, dice. “Anche lei scende a piazza Mazzini?”.
“Un po’ dopo”, dico, “a viale Carso”.
“Va al lavoro o ha finito?”
E’ giovedì, e il giovedì non lavoro. Ma non volendo imbarcarmi in complicate spiegazioni, dico semplicemente che ho finito, sono in giro per commissioni. Sto andando a ritirare la stampa di una foto.
“Ah, bello quando non si lavora… ecco, il bello della pensione è proprio questo! Niente più correre di qua e di là per fare tutto di fretta. Ora mi prendo l’autobus, me ne vengo a piazza Mazzini dall’Aventino, mi faccio un giro tranquilla, poi me ne torno… peccato che la pensione te la puoi godere solo da vecchio, che ci stanno un sacco di altri problemi dovuti all’età!”
“Vive all’Aventino? Bello…”
“Merito di mia madre… e chi se la sarebbe potuta permettere oggi una casa all’Aventino!!”
“Era di sua madre la casa?”
“Di mio padre, ma è stata mia madre a voler vivere lì”.
Siamo a piazza Mazzini, la signora si alza e scende, dopo avermi salutato con allegria e augurato “buon lavoro”, anche se le avevo detto, prima, che non stavo andando al lavoro.
“Buona giornata a lei!” dico mentre scende.
C’è il sole, fra una fermata scenderò anche io, pochi passi a piedi per arrivare allo studio dello stampatore e vedere la mia foto stampata, la prima in assoluto che faccio stampare, delle mie. Accenderò una sigaretta, sorriderò. Sorrido già.