Cmillo

29 Gennaio 2007
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Nella barba di mio padre viveva uno gnomo, Cmillo.
Lo cercavo, talvolta, la sera, frugando la barba castana, a cavalcioni sulle gambe di mio padre che, seduto sul divano, guardava il telegiornale. Mentre nei suoi occhiali si riflettevano, come altrettanti piccoli gnomi colorati, i personaggi della TV.
Cmillo non era uno gnomo socievole, anzi, era piuttosto scorbutico. E infatti nella barba viveva da solo, come un eremita. E non aveva piacere a farsi vedere da me. Non posso dire con certezza, in effetti, di averlo mai visto. Credo piuttosto di averlo intravisto, mentre sgattaiolava furtivo per nascondersi a me che lo cercavo.
Sapevo però diverse cose sul suo conto.
Sapevo che amava molto sciare. Ogni mattina inforcava i suoi sci e si lasciava scivolare veloce sulla spuma da barba compiendo evoluzioni e salti mortali. Che mortali potevano essere davvero, ché nello slalom Cmillo doveva fare particolare attenzione ad evitare le lame del rasoio.
Quando mio padre si lavava la faccia, allora il pericolo era massimo, ché l’acqua fredda si abbatteva sulla foresta come un terribile tsunami. E il rischio di essere risucchiati dalle onde e finire nello scarico del lavandino era reale e spaventoso.
Ma Cmillo conosceva gli orari, mio padre era molto metodico, e quando arrivava il momento delle abluzioni mattutine si afferrava saldamente ad un pelo e resisteva impavido all’impatto dell’acqua.
Di mestiere era boscaiolo, tagliava i peli della barba con la sua minuscola accetta, poi li rivendeva. A chi, non è dato sapere. Forse ad altri gnomi che abitavano altri visi, più glabri di quello di mio padre.
Di dove venisse però non lo sapevo. Né quanti anni avesse, ma credo fosse più che centenario. Doveva averne viste di barbe, ma quella di mio padre gli era particolarmente cara, giacché la abitava da moltissimi anni, e non sembrava avere intenzione alcuna di traslocare altrove.
Di giorno, quando c’era il sole, si stendeva fuori della sua baracca e si lasciava scaldare dal tepore, e pensava, e sognava. D’inverno invece se ne stava per lo più rintanato all’interno della capanna, e si scaldava bruciando qualche pelo di barba nel suo piccolo camino. Mio padre sentiva allora un lieve pizzicore e, se guardavo molto attentamente, anch’io potevo scorgere un tenue bagliore riflettersi fra i peli della barba.
Una sera, frugando come di consueto, avvertii un’insolita quiete, un senso di solitudine, e di abbandono. Seppi allora che Cmillo se n’era andato, per sempre. Aveva lasciato la barba di mio padre, per chissà quale altra destinazione.
Ero troppo grande, allora, per stare ancora in braccio a mio padre, questo lo sapevo. Ed ero troppo cresciuta per avere come amico uno gnomo scorbutico. Così salutai mentalmente Cmillo, serenamente, senza nostalgia, con la singolare saggezza dei bambini. Sapevo che era giusto così.
Tuttavia non ho mai dimenticato Cmillo. E so che da qualche parte, in qualche tempo, anche lui pensa a me, e ricorda, e sorride.