C’era una volta una principessa che, come tutte le principesse, era ovviamente bellissima.
Ma la sua bellezza era diversa da quella consueta, bionda e diafana, delle principesse delle fiabe: i suoi capelli erano sì lunghi e setosi, ma erano di un bel castano scuro, così come la sua carnagione, morbida e dorata. E scuri erano pure gli occhi luminosi da cerbiatta.
Era davvero una gran bellezza ma, si sa, sovente tutto ciò che esce dall’ordinario, è strano o diverso, e non s’uniforma ai canoni lungamente tramandati, non viene apprezzato e riconosciuto. Anzi, è spesso dai più temuto, pericolosa falla, vortice attraente e spaventoso, presagio di oscuri varchi e pericolosi sovvolgimenti nella rassicurante quiete della tradizione.
Sicché la principessa era sogguardata con sospetto ed apprensione dai sudditi del regno, dai fattori, dai contadini, dai pescatori, dagli artigiani, e perfino dai suoi genitori, il re e la regina.
Non rassomigliava loro affatto nei lineamenti, e nei colori, nel temperamento silenzioso e riflessivo, negli occhi profondi e inquieti che sembravano sempre scrutare, domandare, bramosi di conoscenza. Pareva venuta da chi sa dove, da una oscura fantasia ribelle, un maleficio, la vendetta di una qualche strega rancorosa.
Il re e la regina guardavano crescere la loro unica figlia pieni di apprensione. Perchè non era bionda e quieta? Perchè la sua pelle non era delicata e trasparente come s’usa nelle fiabe, ma forte e scura, e non si feriva con un pisello nascosto sotto sette materassi di piuma? Perchè era così diversa dalle principesse dei racconti?
Nondimeno, quando la ragazza fu in età da marito, re e regina, fedeli alla tradizione, organizzarono una grande festa, con canti e balli, e banchetti e libagioni. E un torneo, con difficili prove da superare e oscuri enigmi da risolvere: colui che avesse superato tutte le prove, dimostrandosi forte e degno, avrebbe avuto la principessa in moglie, e sarebbe stato re.
I contendenti dovevano in primo luogo attraversare un lungo deserto infestato di pericolosissime sabbie mobili, sabbie all’apparenza normali, ma che in realtà nascondevano chiazze di sabbia liquida e pesante, pronta a ghermire ed inghiottire il malcapitato che vi avesse inavvertitamente camminato su.
Un morbido abbraccio mortale.
Superate le sabbie mobili, dovevano immergersi in un mare sempre cheto in superficie, ma ribollente di gorghi nel profondo, e nuotare e nuotare fino ad una oscura caverna di roccia calcarea.
Nella caverna stava l’ostrica fatata, che covava la preziosa perla, la perla che, consegnata alla principessa, avrebbe costituito insieme pegno d’amore e prova del superamento del torneo.
Ma non era così semplice impossessarsi della perla: occorreva dapprima battere il feroce drago che custodiva la caverna, e che anche quando dormiva russava fiamme bollenti. Una cosa assai pericolosa, ed anche in qualche modo abbastanza problematica per chi doveva dormirgli accanto, tant’é che la moglie del drago, stanca di ritrovarsi tutte le mattine con dolorose scottature sul collo e sul viso, e seccata di dover ogni volta cambiare la biancheria da letto tutta bruciacchiata, aveva un bel giorno deciso di abbandonare il tetto coniugale, ovvero la roccia coniugale, e se n’era andata a vivere per conto proprio, cosa che aveva reso il drago ancora più irascibile.
Superato l’ostacolo del drago, l’ostrica avrebbe consegnato la perla a chi avesse risposto correttamente ad una domanda da lei posta. La domanda cambiava ogni volta, ed invero cambiava sempre anche la risposta esatta, ché l’ostrica era vecchia e un po’ rimbambita e non sempre ricordava la soluzione degli enigmi che lei stessa formulava, e a volte confondeva e mischiava perfino gli indovinelli, cosa che rendeva ancora più ardua l’impresa del conoscerne le risposte.
Insomma, il torneo si prospettava difficile ed incerto, e solo un uomo veramente valoroso lo avrebbe vinto, meritandosi l’eterno amore della principessa.
Un uomo veramente valoroso o… un uomo fortemente raccomandato! ché, ahinoi, quando si parla di regni, potere e ricchezza, gli interessi in gioco sono alti, altro che amore, e non c’è fiaba che tenga: è cosa triste, ma non si può non constatare che il soffio della decadenza e dell’utilitarismo moderno s’è ormai insidiato anche nelle fiabe…
Dunque il torneo fu bandito, e re e regina si misero in attesa di ricevere gli appassionati contendenti.
Aspettarono e aspettarono, curiosi e trepidanti dapprima, incerti e perplessi poi, e infine stizziti e delusi, quando dopo giorni e giorni di inutile attesa fu chiaro che nessun principe si sarebbe mai iscritto.
Forse le prove da loro ideate si prospettavano troppo ardue? Si sa, oggigiorno non esistono più i valorosi d’una volta, e forse i pretendenti erano intimoriti da tanta difficoltà…
Re e regina decisero di introdurre qualche variante: le sabbie sarebbero state solo parzialmente mobili, ovvero si sarebbero mosse un po’, tanto per fare scena, ma non avrebbero inghiottito nessuno; il mare sarebbe stato moderatamente agitato, niente di troppo pericoloso, qualche onda qui e là; l’ostrica non la potevano cambiare, purtroppo, ma il drago, beh, al drago avrebbero dato un bel sonnifero, e sarebbe diventato rischioso avvicinarsi solo se si fosse messo a russare, cosa invero abbastanza probabile, ma nel bando re e regina ebbero cura di specificare che al drago in questione sarebbe stato applicato un cerotto nasale, di quelli per allargare le narici e agevolare la respirazione, e qualora il rimedio non si fosse rivelato sufficiente, i contendenti avrebbero sempre potuto avvicinarsi giusto un po’ e fare “pciù pciù pciù” come si fa con i gatti, pare che quel suono tranquillizzi il dormiente e lo faccia smettere di russare…
Insomma, sembrava ai due regnanti di aver alquanto agevolato il superamento delle prove, tuttavia dovettero ricredersi quando, ancora una volta, nessuno si presentò all’iscrizione.
Occorrevano misure più drastiche.
Alle sabbie parzialmente mobili sostituirono una gradevolissima tranquilla spiaggia tropicale, con tanto di ombrelloni e mojitos per una piacevole sosta rinfrancante, il mare divenne un placido lago senza increspature, al posto del drago venne insediata una pacifica lucertola, e l’ostrica venne minuziosamente istruita sulla domanda da porre, la cui risposta sarebbe stata preventivamente consegnata, in gran segreto, al contendente.
Anche così, nessuno si iscrisse.
Tanto varrebbe, si dissero re e regina, offrire nostra figlia al primo che capita, sempre meglio di una figlia a carico vita natural durante, una zitella, orrore!
Ma la principessa non ne volle sapere, piuttosto sola, disse con piglio bellicoso.
Ma l’orgoglio e la rabbia durarono poco, e quando svanirono, alla principessa rimase solo una profonda tristezza.
Era davvero mortificante che nessuno al mondo volesse chiedere la sua mano.
Piano piano la principessa scivolò nella depressione, non voleva più alzarsi dal letto, non mangiava, non parlava. Dormiva, tutto il giorno e tutta la notte, ché solo nei sogni trovava conforto.
Prese a credere di essere davvero brutta e indesiderabile, e brutta lo divenne davvero, ché quando ci si vede in un modo, curiosa magia del reale, anche gli altri ci vedono allo stesso modo.
Si crede di essere brutti, e come tali anche gli altri ci vedono.
Viceversa, quando si è convinti di essere belli e attraenti, facile che se ne convincano anche gli altri.
E a riprova di ciò, dirò che nel regno viveva un ranocchio che, come tutti i ranocchi, non si può dire che fosse proprio avvenente.
Eppure era intelligente, disinvolto, e si comportava in modo assai distinto, come un gran principe. Chi lo sa, magari sotto quell’aspetto si celava davvero un principe, ridotto in sembianza di ranocchio da un qualche maleficio…
Tornando da un viaggio d’affari, il ranocchio lesse il bando. La principessa la ricordava benissimo, l’aveva a lungo ammirata di lontano, senza speranza alcuna d’essere notato e, a sua volta, ammirato… ora era finalmente arrivata l’occasione che aspettava, e subito si presentò al re e alla regina per iscriversi al torneo.
I regnanti erano invero perplessi, ma accettarono l’iscrizione, vuoi per la mancanza di altri pretendenti, vuoi perché tutto sommato speranzosi che sotto l’aspetto ranocchiforme si celasse un meraviglioso ricco principe, la cui bellezza si sarebbe disvelata al primo bacio d’amore della principessa, come normalmente s’usa nelle fiabe.
Il ranocchio dunque s’avviò a compiere l’impresa, percorse lentamente la bella spiaggia tropicale, sorseggiò il mojito, fece una piacevole nuotata nel lago, e salutò cortesemente la lucertola. La quale, se pur di natura pacifica, aveva preso sul serio la sua missione di proteggere l’entrata della grotta e sfidò il ranocchio a duello, sfida che però il ranocchio declinò, era pacifista.
Il ranocchio si sedette all’entrata della grotta e cominciò un sit-in, sciopero della fame, e della sete, e del sonno.
Bel problema, pensò la lucertola presa in contropiede, e ora che faccio? Niente, non poteva fare niente, poteva mica combattere contro un pacifista.
E poi davvero non aveva nulla contro quel ranocchio, erano solo questioni di Stato, e la politica lei non l’aveva mai veramente capita, così si sedette accanto al ranocchio senza sapere bene come comportarsi, e standosene seduti insieme nella frescura della grotta, cominciarono quasi senza accorgersene a parlare, del più e del meno, e degli acciacchi della vita, e di quella coda fragile che ogni tanto si spezzava, non conosce mica un rimedio?, come no, c’è in commercio un buon rinforzante per unghie, magari vale anche per le code, lo provi, e insomma, per farla breve discorrendo discorrendo divennero amici, la lucertola e il ranocchio, e alla fine la lucertola acconsentì a far passare il ranocchio senza ostacolarlo, però mi raccomando, che non si sappia in giro, rischio di non trovare più lavoro, ma si figuri, muto sono…
Il ranocchio arrivò al cospetto dell’ostrica.
Aveva con sé la domanda, e anche la risposta. Ma… la cosa non fu così semplice.
L’ostrica, anzianotta, aveva dimenticato la domanda da porre, anzi, per dirla tutta, aveva scordato persino di dover incontrare il pretendente della principessa, di dover proteggere la perla, il torneo e tutto il resto. Sicché fu alquanto sorpresa di trovarsi di fronte un ranocchio che sollecitava la domanda.
“Che domanda?” domandò l’ostrica.
“Beh, la domanda cui devo rispondere per avere la perla, sa, il torneo…”
“Quale torneo?”
Il ranocchio spiegò tutta la faccenda all’ostrica, ma l’ostrica non ci capì nulla, gli chiese di ricominciare da capo, poi disse che lei non ne sapeva nulla, che nessuno l’aveva avvertita, che doveva chiamare il suo capo, mica poteva prendere iniziative così, da sola, e che il ranocchio avrebbe dovuto compilare un modulo di richiesta, e poi tornare dopo due settimane, che la burocrazia necessita dei suoi tempi, e dopo la richiesta avrebbe dovuto pagare un bollettino postale, la prima rata, poi verificare che il pagamento fosse stato registrato, ritirare il bollettino per la seconda rata, previo altro modulo di richiesta, e poi…
“Ehm, non ci sarebbe un sistema più rapido?” chiese il ranocchio, che già si vedeva incanutito e col bastone a vagare per la grotta nei secoli a venire. “Sa”, spiegò, “la perla mi serve per chiedere la mano della principessa, e davvero non vorrei procrastinare troppo le nozze…”
“Una principessa? Chiedere la mano? Ma benedetto giovanotto! Poteva dirmelo subito che era fidanzato e che doveva sposarsi… Ahhh, amori di gioventù, anche io ai miei tempi… ero una gran bellezza, sa? Tutti gli ostrici mi corteggiavano, bei tempi… Orsù, apra la mano, ecco la sua perla, e che dio vi benedica entrambi!” e così detto consegnò la bella perla al ranocchio che, salutata l’ostrica con elegante baciamano, si avviò verso la reggia felice ed emozionato.
Quando il ranocchio giunse al cospetto della principessa e le donò la perla, ella ebbe un moto di repulsione. E’ vero, quel ranocchio aveva l’aria distinta, e uno sguardo intelligente e fiero ma… signore mio! pensò la principessa, pur sempre di ranocchio si tratta! A meno che… a meno che non abbiano ragione la mamma e il papà, e costretto in quelle sembianze non si celi un bel principe. Nel qual caso dovrei però prima baciarlo, perché si rompa l’incantesimo, e non è che io sbavi dal desiderio di baciare una rana, ma insomma, pare che non ci siano alternative, e non è che poi ci siano qui fior di principi a fare la fila per me… così ragionava fra sé e sé la principessa, mentre il ranocchio restava in attesa inginocchiato e silenzioso. Oh beh! Si risolse la principessa alla fine, ora lo bacio e staremo a vedere! e rapida e ad occhi chiusi si chinò sul ranocchio e gli scoccò un veloce bacio sulle labbra.
Ora vi aspetterete un magico “pof!” e l’apparizione, in una nuvola iridescente, dell’avvenente atteso principe.
Ebbene, il “pof” in effetti ci fu, la nuvola iridescente pure, ma… il ranocchio rimase tale e, nella costernazione generale, fu invece la principessa a trasformarsi in rana!
Re e regina restarono pietrificati dinanzi allo spettacolo della loro unica figlia che assumeva le sembianze d’una rana. Avevano fino ad allora biasimato l’aspetto così poco convenzionale della principessa, quella bellezza sì difforme dalla tradizione della fiabistica, quello sguardo penetrante che incuteva timore e allontanava i pretendenti, ma mai mai mai si sarebbero aspettati una tale disgrazia! Una figlia rana… al peggio non c’è mai fine, pensarono sgomenti.
Il ranocchio invece si rimirava la sua principessa rana con sguardo innamorato e felice.
Ahhh, inganno, ahhh maleficio! gridarono re e regina, e rinchiusi i due ranocchi in una cantina buia per celarli allo sguardo malevolo della gente, si affannarono cercare un qualche mago, fata, strega o stregone che riconsegnasse la loro figlia alle vecchie sembianze, augurandosi che il maleficio in cui era evidentemente incorsa fosse reversibile.
Passavano le ore, i giorni, i mesi, ma nessun mago-fata-strega-stregone riusciva a ripristinare le sembianze umane della principessa.
A parere del più potente mago del regno, la trasformazione era sortita dalla scarsa autostima della principessa: era stata troppo labile la fiducia nella propria bellezza per poter attrarre in sembianza umana la forma di ranocchio. Viceversa la sicurezza del ranocchio e la sua autostima avevano operato in senso inverso, ed ecco spiegato il pasticcio.
Nessun rimedio, sentenziò il mago, fin quando la principessa non avesse recuperato la propria autostima.
Cosa non facile, invero, stante l’aspetto palesemente ranocchiesco della stessa.
Tuttavia in quei mesi la principessa, chiusa nella cantina, cominciò a trovare gradevole, persino stimolante la compagnia del suo promesso ranocchio. Ebbero modo di conoscersi molto bene, di parlare, di ridere e scherzare, e di… ebbene sì, innamorarsi!
Ed erano felici, come solo gli innamorati sanno esserlo, e non badavano più al loro reciproco aspetto fisico, anzi, si trovavano addirittura belli. L’amore, altra meravigliosa magia del reale…
Ora vi aspetterete che l’amore abbia compiuto il miracolo tanto atteso, che la recuperata autostima li abbia trasformati entrambi in bellissimi principi, e… e invece no!
Si dà il fatto che i due ranocchi ora erano perfettamente felici, si amavano, e non avevano più alcun bisogno di modificare il proprio aspetto, perché l’amore permette di vedere le persone (e le rane) per come sono realmente dentro, e a volte è addirittura più facile vedere “dentro” quando non c’è la bellezza di mezzo ad ingannare e fare da paravento. Così i ranocchi avevano imparato a conoscersi ed amarsi per le loro parole e i loro pensieri, e non desideravano nulla di più.
Almeno, continuarono a non desiderare nulla di più per i primi anni di matrimonio, poi chissà…
…e vissero felici e contenti e… ranocchiformi!