C’era una volta un marinaio. Aveva navigato tutta la vita, ed i suoi occhi erano colmi del colore del mare in tutte le sue sfumature, dalle chiare trasparenze tropicali all’intenso cobalto dell’oceano. Ma un giorno fu stanco di viaggi e di avventure, e volle cercare un posto tranquillo dove trascorrere il resto dei suoi giorni, un posto dove il sale dell’acqua marina non avrebbe reso i suoi capelli crespi, dove un sole clemente non avrebbe arso la sua pelle, e dove infine non avrebbe più dovuto essere un eterno fanciullo cullato dall’onda materna.
Scelse una solitaria collina, vi costruì una casa di pietra, e la circondò di vigneti che al tiepido sole d’ottobre donavano l’uva più dolce e promettevano vino abbondante a riscaldare le lunghe serate d’inverno.
Un’estate trascorse nella sua nuova casa, poi l’autunno, ma già alle soglie dell’inverno egli si faceva inquieto, e quando la prima rondine annunciò la primavera, il marinaio raccolse le sue cose e nuovamente si mise in viaggio. Senza meta, si lasciò guidare dal destino, ed il destino lo condusse al mare, ancora. E quando il marinaio udì l’onda frangersi sugli scogli fu come se la donna amata gli avesse sussurrato il suo nome, e quando l’onda si ritirò nel mare, fu come una donna che, dopo averlo baciato con ardore, fosse fuggita, malizioso invito a seguirla. Ed il marinaio capì che mai avrebbe potuto vivere lontano dal mare.
Decise di stabilirsi in un’isola del mare tropicale, e lì costruì la sua casa con giunchi e canne, e senza vetri alle finestre, ché Estate, in quelle isole lontane, tutto l’anno conserva il suo scettro, e mai nessun Inverno osa importunarla.
L’isola era disabitata a quel tempo, e non aveva nome. il marinaio, si elesse da sé signore e padrone dell’isola, ma volle aspettare ad assegnarle un nome. Volle aspettare che l’isola manifestasse il suo carattere e le sue inclinazioni, perché il nome non si rivelasse in seguito inadeguato a rappresentarla.
Per anni il marinaio visse sull’isola senza nome. Di giorno pescava, nuotava, sognava. La sera cantava antiche melodie. Non aveva altre esigenze, e l’inquietudine che lo aveva spinto e guidato in tutti i mari del mondo sembrava ormai ricordo lontano
Un giorno, camminando sulla costa, vide, adagiata sulla sabbia bianchissima, un’ostrica di dimensioni mai vedute. Il marinaio si avvicinò all’enorme conchiglia, le girò intorno e la guardò da ogni lato: l’ostrica dormiva, e nel sonno sorrideva.
“Bene,” pensò il marinaio, “ecco l’occasione di mangiare qualcosa di raffinato, dopo tanti anni di pesce e gallette”, e corse a prendere una corda per trascinare la conchiglia presso la sua casa. Sul continente scambiò il pesce che aveva pescato con una bottiglia di Champagne, e si apprestò a banchettare: ostriche e Champagne.
Quando l’Ostrica comprese la triste fine cui era stata destinata, pianse e si disperò. E dalle sue lacrime una perla si modellò, enorme, bellissima. Il marinaio la raccolse, la esaminò a lungo, e concluse che quella perla era di immenso valore e che, possedendo quell’ostrica perlifera, egli aveva trovato un tesoro inestinguibile, la ricchezza. Ricchezza…: ciò che mai aveva cercato, né desiderato, ora d’improvviso gli pareva indispensabile, e già ragionava di barche che avrebbe comperato, no, non barche, navi, e bastimenti, e intere flottiglie. E alberghi avrebbe costruito sull’isola, e ristoranti, e discoteche, e ricchezza avrebbe chiamato altra ricchezza.
Per raccogliere il capitale iniziale da investire in quel progetto aveva però bisogno di altre perle, e per ottenerle era necessario che la sua ostrica piangesse. Determinato a ricavare quante più perle poteva, il marinaio si sedette di fronte all’Ostrica e cominciò a raccontarle storie di terrore, e le melodie più tristi cantò per lei, e finse di volerla mangiare, e le disse che era grassa, e mai avrebbe potuto fare la modella, e le disse che era brutta, come una cozza. L’Ostrica piangeva senza sosta, un pianto silenzioso, colmo di dolore, e grosse perle rotolavano dagli occhi tristi.
Ma il marinaio era in fondo di animo sensibile: i lunghi anni di mare in tempesta, e la solitudine dell’oceano lungi dal renderlo arido ed indifferente avevano semmai acuito in lui la sensibilità al dolore, perché ne conosceva ormai tutte le sfumature, dalla lieve nostalgia del tramonto allo smarrito bruciore del tradimento, dall’ansioso timore della partenza alla sorda, spossata disperazione dell’abbandono. L’Ostrica aveva perso tutta la sua imponenza ed ora appariva sottile, quasi trasparente, ed i suoi tratti si confondevano agli occhi del marinaio offuscati dal rimorso. E quando dal quieto piangere emerse un gemito, un unico singulto, lieve come foglia d’autunno, il marinaio non poté resistere. Si avvicinò all’Ostrica, la strinse a sé, le baciò gli occhi, quasi a voler fermare, asciugare quel fiume di lacrime. Le disse che aveva mentito, che tutte le cattiverie dette non erano che bugie, che lei era un’ostrica bellissima, mai ne aveva veduta una più bella. Le disse che l’amava… E così dicendo piangeva, e mescolava a quelle dell’ostrica le proprie lacrime senza valore.
Tutta la notte il marinaio parlò all’Ostrica, la consolò con tenere parole, inventò fiabe per lei, ed avventure di mare, e ancora parlò, parlò finché le parole smarrirono il loro significato, ed il suono della sua voce fu non diverso da una tenue melodia, una ninna nanna lieve come un sogno, e l’Ostrica lentamente scivolò nel sonno. E nel sonno sorrideva. Sul terreno, sparse intorno, mille e più perle, luminose e malinconiche come nebbia mattutina. Il marinaio le guardava, e non più ricchezza vedeva, né navi, né bastimenti. Solo dolore. Ma in questa distesa bianca il marinaio scorse una perla, una perla più bella delle altre, più grande, più luminosa. Sembrava brillare, lieta come una stella d’inverno. Il marinaio la raccolse, e subito comprese: era una perla di gioia, l’ultima versata dall’Ostrica prima di assopirsi. Quella perla il marinaio conservò sempre, tutta la sua vita, forse anche più a lungo.
Nella notte raccolse tutte le altre perle, e nel mare le lasciò scivolare, una ad una, perché il sale ne sciogliesse il dolore. Infine sentì che doveva partire: troppo a lungo era stato fermo in un luogo. Salutò l’Ostrica, e la baciò teneramente. Ma prima di mettersi in viaggio fece ciò che per tanti anni aveva rimandato: diede un nome all’isola, ‘Perla di gioia’.
Ancora oggi l’isola esiste, al largo della costa venezuelana, e nel nome conserva il ricordo di quella storia antica, del marinaio, della sua perla: ‘Isla de Margarita’ si chiama, e ‘margarita’ in greco significa ‘perla’.